domenica 8 agosto 2010

INDIA....

L’oriente affascina e andare in India era sempre stato il sogno di una vita.
Avevo da poco letto un libro di Osho sull’amore e sulla ricchezza interiore, libro che mi era casualmente capitato tra le mani in una libreria di Firenze. Lo lessi tutto di un fiato e ne rimasi colpita per i pensieri sulla vita, su quella vita avventurosa di tutti quelli che continuano a visitare il pianeta e che danzano in esso. Cominciai subito dopo a documentarmi e mi resi conto che andare in India non sarebbe stato un viaggio come tutti gli altri ma un’esperienza di vita immensamente grande e indimenticabile tra culture, religioni e antiche tradizioni.
Parto così per l’India e atterro l’indomani, dopo otto interminabili ore di volo, a Delhi una delle più dinamiche città del mondo con ben tredici milioni di abitanti. In Hotel faccio conoscenza con i miei compagni di viaggio e dopo aver fatto uno spuntino veloce siamo pronti per la visita della città, una città molto suggestiva dove passato e futuro, ricchezza e povertà, religioso e profano si mescolano e si sintetizzano regalando al visitatore emozioni continue. Ci immergiamo subito con il pullman in un traffico assurdo che non ha rivali al mondo, nemmeno Bangkok, anche per quanto riguarda l’inquinamento che supera decisamente ogni soglia di guardia. Intorno a noi moto con più persone, mucche, risciò, biciclette, camioncini e macchine che suonano continuamente i loro assordanti clacson: nessuno rispetta i segnali di precedenza e nessuno mantiene la distanza di sicurezza, tutti procedono all’insegna di un frenetico ritmo. La prima visita è il tempio Sikn Bangla Saheb bianco dalle cupole auree dove i fedeli entrano a piedi nudi dopo essersi lavati nella vasca sacra; in questo tempio che rappresenta La Mecca della religione Sikn assistiamo a tipiche cerimonie e cominciamo a percepire il profondo senso spirituale di questo popolo. A testimoniare la colonizzazione inglese ci sono gli edifici governativi ed ecco i due simboli della città: il Qutub Minar e la tomba di Humayum. Il minareto a cinque piani, detto torre della vittoria risale al 1200 e fu probabilmente costruito per il richiamo alla preghiera del muezzin. Ai suoi piedi la moschea più antica di Delhi nel cui patio c’è una colonna intorno alla quale facciamo un giro propiziatorio per realizzare, come vuole la leggenda, i nostri desideri. La tomba di Humayum è un mausoleo tipico esempio di architettura islamica indiana con i suoi giardini arabeschi; Le pareti rosse arcuate danno origine a giochi decorativi che incantano la nostra vista, all’interno c’è la pietra tombale del sultano moghul. Questa costruzione ha ispirato, come ci riferisce la nostra guida, la costruzione del Taj Mahal di Agra. All’uscita del mausoleo ci addentriamo in una vera e propria medina ed entriamo a far parte di una dimensione unica e magica: persone con abiti tradizionali, botteghe di vettovaglie varie e venditori di fiori, incensi e dolcetti offrono uno scenario incantato ed io con la mia macchina fotografica cerco di rubare qualche scena di vita quotidiana e qualche abbigliamento caratteristico.

L’indomani andiamo nel cuore della vecchia città per visitare il celeberrimo forte rosso del XVII secolo con le sue altissime mura di cinta: una vera e propria cittadella concepita come una riproduzione sulla terra del paradiso descritto nel Corano. Gli indiani sono molto legati a questo posto che ricorda non solo la gloria moghul ma anche un evento storico molto importante: è da queste mura che il Pandit Nerhu annunciò l’indipendenza dell’India ed è dal 1947 che il tricolore indiano sventola in cima alla porta principale del forte. La nostra escursione prosegue con la visita della moschea Jama Masjid, la più grande dell’India che può ospitare fino a 20000 fedeli. Questo è un imponente edificio con quattro torri e due minareti; nell’interno c’è un’enorme cortile con una pavimentazione rossa e con una grande vasca di marmo dove i fedeli fanno le abluzioni e si purificano prima della preghiera. Ogni luogo di culto lascia un segno profondo e spinge alla meditazione ed ad un esame del proprio essere. In tarda mattinata si parte alla volta di Jaipur e lungo il tragitto facciamo una pausa pranzo presso la fortezza di Neemrana, situata sulla cima di uno sperone roccioso, dalle cui terrazze ammiriamo un panorama mozzafiato sulle foreste infinite. Nel tardo pomeriggio raggiungiamo Jaipur, la capitale del Rajasthan, ricca di numerose fortezze che sono gemme di rara bellezza, edificata secondo regole architettoniche Indù, i suoi edifici sono di colore rosa-arancio dipinti nel 1800 per onorare il principe di Galles; ci immergiamo subito nella vita di ogni giorno e ci concediamo una passeggiata tra ambulanti e tante vacche sacre.

L’indomani raggiungiamo Forte Amber sulle colline di Aravalli dalla ripida rampa che oltrepassiamo sul dorso di elefanti dalla proboscide stupendamente dipinta, un’esperienza unica che ci fa rivivere il mondo passato. Il forte, le cui guardie indossano il tradizionale turbante, è in marmo bianco e sabbia rossa ed è ricco di palazzi e padiglioni dagli stili inconfondibili: una mescolanza di arte indù e architettura musulmana; le stanze sono decorate con suggestivi colori e bellissimi sono i dipinti sulle pareti di vetro. Dopo aver pranzato andiamo in giro nel baazar tra le coloratissime spezie e i profumatissimi fiori, tra i grovigli di cavi elettrici all’insegna delle attuali “norme di sicurezza”, tra incantatori di serpenti, scimmie, santoni, mucche sacre e tra gli artigiani che lavorano i loro articoli all’aperto; raggiungiamo subito dopo City Palace, uno spettacolare edificio medievale dalle sontuose decorazioni dove vivono i membri della famiglia reale e nel cui interno si ammirano intere pareti con argenti, cristalli e raffinati stucchi. E’ qui che nella stanza delle riunioni sono ben in mostra i due più grandi vasi d’argento del mondo che sono nel guinness dei primati, vasi che hanno trasportato l’acqua del sacro Gange quando il Maharaja Madho Singh si recò in Inghilterra. Dopo una piccola sosta in un bar visitiamo l’osservatorio astronomico con la grande meridiana equinoziale al suo centro, con numerosi orologi e strumenti per la determinazione della posizione degli astri. Veniamo attratti subito dai dodici segni zodiacali e ognuno di noi va alla ricerca del proprio per fotografarlo. A questo parco veramente surreale è attiguo l’incredibile palazzo dei venti, l’Hawa Mahal. Peccato non poterlo ammirare perché in restauro, si intravedono solo alcune delle raffinatissime finestre a nido d’ape che consentivano alle donne della casa reale di osservare lo svolgere della vita quotidiana senza essere viste da occhi indiscreti. Ugo Gozzano al ritorno da un suo viaggio in India scrisse di Jaipur: il sovrano di allora doveva avere l’anima di un fanciullo e di un poeta per erigere un’urbe molto simile a quella percepita nei sogni dall’oppio, nelle fiabe persiane e nelle leggende vediche. Lasciamo, in effetti, un posto carico di storia e di fascino: un fascino misterioso senza tempo.

L’indomani partiamo alla volta di Agra e durante il tragitto facciamo una sosta alla città abbandonata di Fatehpur Sikri situata sulle rive di un lago naturale quasi prosciugato. In questo sito sono stati trovati strumenti dell’età della pietra in quanto ci sono stati insediamenti di uomini preistorici, abbiamo ammirato i numerosi palazzi in arenaria rossa: una fusione di stili architettonici. Nel pomeriggio facciamo una sosta ad Abhaneri, un borgo medievale famoso per il pozzo-palazzo che invece di innalzarsi verso l’alto affonda nella terra: una vera meraviglia architettonica per attingere l’acqua. La sera arriviamo ad Agra un po’ stanchi ma felici per cui dopo cena mi ritiro  nella mia camera  per un bel meritato riposo notturno.

Agra sorge lungo le rive del fiume Yamuna ed è la città del Taj Mahal, un maestoso mausoleo, gioiello dell’arte musulmana in marmo bianco con dei motivi floreali di vari colori dai riflessi incandescenti, dichiarato da diversi anni “ patrimonio dell’umanità ”. Questo è il tempio dell’amore e fu costruito da un imperatore musulmano Shah Jahan in memoria della moglie adorata Mahal, è un posto unico al mondo: la cupola e i quattro minareti formano un magico gioco di colori in continuo cambiamento. Un poeta inglese l’ha descritto non come un pezzo di architettura ma la passione orgogliosa di un imperatore trasformata in pietra vivente. Mi allontano un po’ dal gruppo e mi siedo in un angolino a terra per godere di tale bellezza e non avrei mai voluto andare via: la silhouette vaporosa si riflette sul bacino d’acqua antistante e sdoppia meravigliosamente il tempio. Questo posto, come dicono gli indiani, bisogna osservarlo con gli occhi dell’amore: è il simbolo dell’amore eterno e vive proprio per questo, per rappresentare il sentimento profondo che lo ha ispirato. L’interno è molto semplice, nella camera funeraria si trovano le tombe imperiali e come detta la tradizione islamica i corpi sono sepolti con le facce verso la Mecca, la città santa. Dall’alto sul sarcofago di Mahal situato sotto la cupola centrale pende una lampada e si dice che non sia mai stata e non sarà mai lasciata spegnere: la fiamma dell’amore che arde. Deve continuare ad ardere per sempre e deve essere di buon auspicio per tutti: l’amore è salvo e, in un certo senso, si perpetua nel tempo, anche dopo la morte. Nel pomeriggio si va al forte rosso, un’altra vera sintesi tra induismo ed islam; per entrare ci facciamo spazio tra un’agguerrita folla di venditori molto insistenti che vogliono a tutti i costi farci comprare le loro mercanzie per poche rupie. Veniamo subito attratti dalla torre ottagonale, una gigantesca fortificazione dove, si narra, fu rinchiuso l’imperatore Jahan: mi sembra di avvertire il dolore di un padre tradito dal proprio figlio e il pianto di un re che morì d’amore. La fortezza ha una veduta incantevole sul fiume e sul Taj Mahal: la stessa veduta che aveva l’imperatore prigioniero. Una leggenda narra che nelle notti di luna piena si sentono i suoi passi: la sua anima ritorna a girovagare tra questi luoghi che incarnano “ tutto ciò che è puro, santo e infelice”. Mi soffermo anch’io a fotografare da diversi punti il risplendente mausoleo e ad osservarlo ancora per un po’: custodirò per sempre nello scrigno del mio cuore questa veduta e l’atmosfera speciale che riesce a creare.

Concludiamo la serata con la visita alla tomba di Itmad Ud Daulah anch’essa in marmo bianco con disegni floreali e geometrici ispirati al Taj Mahal ma non trasmette quelle emozioni provate in quel luogo indimenticabile e ameno. Nel ritornare in hotel Agra ci appare più sporca e caotica del mattino: i contrasti tra povertà e splendore caratterizzano questo nostro viaggio. A prima mattina ci trasferiamo alla stazione ferroviaria e con il treno raggiungiamo Gwalior; qui visitiamo un’imponente e colorata fortezza decorata con lapislazzuli che si arrocca a strapiombo su una collina rocciosa. Indimenticabile la tortuosa salita al forte con le grotte degli asceti ricche di sculture di Tirthankara inserite in delle nicchie.

Proseguiamo per Orcha che sorge su un’isola rocciosa in un’ansa del fiume Betwa; facciamo un giro per la città e visitiamo il forte, un palazzo a più piani in arenaria rossa con maioliche di lapislazzuli. Dopo il pranzo si parte alla volta di Khajuraho dove arriviamo la sera giusto in tempo per cenare e per assistere ad uno spettacolo al centro culturale Kandhariya.


Il mattino successivo visitiamo i templi occidentali induisti e nel pomeriggio quelli orientali del Gianaismo dalle erotiche sculture che testimoniano l’alto livello culturale raggiunto dalla società indiana intorno all’anno mille dalla dinastia Chandela. I templi famosi per le numerose sculture erotiche ”nelle infinite posizioni del Kamasutra” sono delle vere e proprie celebrazioni dell’amore che per gli indiani, non solo è una parte della vita molto importante per lo sviluppo umano ma è anche un mezzo che tende verso il divino, una vera e propria esperienza spirituale. Il vero erotismo è riprodotto nelle parti basse dei templi, in alto, invece le scene riguardono il mithuna ovvero l’accoppiamento degli dei dal quale si origina l’energia vitale che viene trasferita agli uomini. Dedicati a varie divinità questi templi celebrano l’energia creativa della procreazione e non sono assolutamente una riproduzione plastica del Kamasutra. I volti raffigurati sono simboli della beatitudine, come ci riferisce la nostra guida, la stessa estasi mistica che viene raffigurata nel volto di Buddha e in quello di Shiva. Facciamo poi una passeggiata nel vicino villaggio rurale dove una multitudine di bambini ci circonda affettuosamente e noi regaliamo loro caramelle, penne e quaderni. Al mattino facciamo un’escursione al parco Raneh Falls, un posto molto suggestivo dal punto di vista naturalistico: le cascate che precipitavano dalle rocce rosse e nere mi hanno riportato con la fantasia lungo le rive del Colorado. Nel primo pomeriggio siamo in volo alla volta di Varanasi, la città santa dell’Induismo, situata sulla riva occidentale, quella pura del fiume Gange; è la vera anima spirituale dell’India, il luogo delle abluzioni nel fiume sacro, dei ghat, delle pire ed è il luogo dove giungono da ogni parte malati terminali che qui aspettono la morte con la speranza di raggiungere il Nirvana o una vita migliore nella successiva reincarnazione. All’ora del tramonto con un tuk-tuk tra un traffico infernale e micidiali suoni di clacson attraversiamo la città della morte e della vita che puzza di inquinamento e di escrementi di vacca “sacri ma puzzolenti”. Raggiungiamo il Gange e scendiamo in un ghat tra mendicanti e malati che hanno una scodella in mano dove qualcuno versa loro qualche mestolo di riso: si tocca con mano la vera povertà, ci si sente veramente poveri dentro. Lungo il fiume c’è la vita che va al di là della morte, assistiamo alla cerimonia sacra del fuoco, l’Aarti Puja: i sacerdoti danzano, cantano, benedicono il fiume e offrono le lampade alle divinità. Osserviamo a bocca aperta storditi dal forte profumo dell’incenso; tutti intorno a noi pregano e cantano, veniamo coinvolti in un’atmosfera ancestrale e misteriosa che trasmette grande serenità e pace interiore. Saliamo in una barca a remi e facciamo un giro lungo il fiume, dalla barca si percepisce ancor di più quell’atmosfera mistica e misericordiosa quando scorgiamo i fuochi delle pire funerarie e deponiamo nel fiume sacro delle piccole corone di fiori con delle candeline accese: la vita e la morte formano un connubio indissolubile, la vita fluisce nella morte. L’indomani mattina ci aspetta l’alba sul fiume Gange, piove a dirotto e Varanase è completamente deserta, il fiume è avvolto dalla nebbia che lo rende ancor di più misterioso: solo qualche coraggioso credente non rinuncia alla purificazione dell’anima dai peccati in quell’acqua putrida, una fogna a cielo aperto.

Il mio viaggio in India è finito. Porterò sempre nel mio cuore il profumo dei fiori e degli incensi all’entrata e dentro i templi, i colori dei sari, quelle magiche cerimonie religiose e il sorriso dei tanti bimbi che avevano sicuramente poco o niente da mangiare ma erano contenti a testimonianza che la ricchezza non rende felici, la povertà con decoro sì. Questa terra ci insegna che la vita scorre e l’uomo deve accettare il suo Karma, deve seguire un vero “vademecum” di vita, la legge della vita dove ogni azione ha una conseguenza nella vita attuale o in quella “successiva”.


Scriveva Pasolini: “Un occidentale che va in India ha tutto ma in realtà non dà niente”. L’India invece che non ha nulla dà tanto”. Queste parole si commentano da sole.

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